Jin, Jihan, Azadi – Zan Zendeghi, Azadi!*
Iran: continuano le proteste



*Jina Amini vive, Jin, Jihan, Azadi – Zan Zendeghi, Azadi! – Donna, Vita, Libertà!



È passato un anno da quella terribile notte nella quale Jina Amini venne arrestata dalla polizia religiosa (Basij) a Tehran, dove si trovava con la famiglia in vacanza. Dopo l’arresto, la giovane curda del Rojhelat, il territorio curdo che rientra nei confini dell’odierno Iran, muore per un’emorragia celebrale con ferite riconducibili ad un pestaggio. 


A seguito della sua morte in tutto il paese si svilupparono importanti proteste aspramente represse dalle autorità della Repubblica Islamica. Nel giro di tre mesi si contarono almeno 476 persone uccise dalle forze governative. Il movimento di protesta per la morte di Jina ha avuto un impatto rilevante sia a livello locale che internazionale: se nel primo decennio degli anni 2000 la protesta del cosiddetto “movimento verde”, composto per lo più dai giovani della borghesia iraniana, puntò essenzialmente sulle scadenze elettorali e sulla speranza di cambiamento e riforma della Repubblica Islamica, le rivolte iniziate nel 2022 hanno chiesto a gran voce la fine del regime degli Ayatollah.

Ciò ha rappresentato un continuum con la serie di rivolte che hanno scosso l’Iran negli anni precedenti, in particolar modo quelle del 2019/20 e quelle dell’estate del 2021 che, attraverso uno sciopero di massa dei lavoratori del settore petrolchimico sostenuti dalla popolazione, paralizzarono la nazione e fecero tremare il regime iraniano.
 Questa continuità ha evidenziato come in Iran esista una forte connessione tra le varie lotte che scuotono il paese. Non è un caso che proprio durante le rivolte per la morte di Jina, tra fine ottobre e metà novembre del 2022, insegnanti ed operai iniziano a organizzare sit-in e scioperi locali, a Teheran, Isfahan, Abadan ed in località del Kurdistan in territorio iraniano. I negozianti di Saqqez, la cittadina d’origine di Mahsa Jina Amini, abbassarono le loro saracinesche in solidarietà alle proteste. Le proteste in tutto l’Iran, soprattutto nelle regioni curde, non si sono mai placate negli ultimi mesi, seppur l’attenzione mediatica internazionale si sia affievolita.

A margine del primo anniversario della morte di Jina Amini svariate organizzazioni politiche del Rojhelat hanno lanciato, con uno storico comunicato congiunto, uno sciopero generale per il 16 Settembre. 
L’appello definisce la ribellione scoppiata un anno fa come “la più grande e duratura rivolta nella storia della Repubblica Islamica”, chiamandola “la rivoluzione ‘Jin, Jiyan, Azadî’”. Nell’appello si sottolinea anche come le rivolte guidate dalle donne, che da Rojhilat si sono diffuse in tutto l’Iran, “abbiano creato una rivoluzione irreversibile nella coscienza delle persone”. E’ così che sabato 16 Settembre, migliaia di persone sono scese in piazza per celebrare l’anniversario dell’uccisione di Jina Amini. La polizia iraniana ha messo in atto una violenta repressione delle proteste in tutto il paese, soprattutto a Saqqez, Sine, Urmia, Teheran e nella provincia del Baluchistan e Sistan. Almeno 700 persone sono state arrestate. Secondo quanto riferito in loco, alle famiglie non sono state fornite informazioni sulla sorte dei detenuti.

Le persone che si sono rivolte alla stazione di polizia di Teheran sono state attaccate dalle forze del regime mentre aspettavano notizie dei loro familiari detenuti. Molte persone sarebbero rimaste ferite durante l’attacco. 
Oltre agli attacchi, come riportato da ANF, Il padre di Amini è stato preso in custodia dalle forze di sicurezza iraniane fuori dalla casa di famiglia a Saqqez venendo poi rilasciato dopo una breve detenzione, ammonendolo di non celebrare l’anniversario della morte di sua figlia. La casa era stata precedentemente circondata dai Pasdaran – Guardie Della Rivoluzione Islamica – e la famiglia era stata messa agli arresti domiciliari. Amjad Amini, nelle ultime settimane era stato convocato per un interrogatorio e sottoposto a diverse pressioni da parte di varie agenzie di sicurezza governative. 
Ciò rientra in un atteggiamento tenuto dal regime negli ultimi mesi con un aumento spropositato della pressione sui parenti delle persone uccise durante le rivolte. A tutte le famiglie è stato detto di “non tenere cerimonie di commemorazione” e decine di parenti sono stati arrestati. 


Durante tutta la giornata di sabato, elicotteri governativi hanno sorvolato a bassa quota la città di Saqqez e la violenza repressiva della Repubblica Islamica si è principalmente concentrata sulle città curde. “Internet è stato interrotto come parte degli sforzi del regime per impedire ai manifestanti di comunicare e riunirsi”, raccontano alcune fonti locali.

In molti quartieri di Teheran, i manifestanti hanno scandito slogan come “Morte al dittatore!” e “Donna, vita, libertà!”. Alcuni si sono radunati sui tetti degli edifici residenziali o sono saliti sui balconi. In diverse città del Rojhelat, la gente ha eretto blocchi stradali e, come già visto nelle rivolte degli ultimi anni, ha suonato i clacson delle auto in segno di solidarietà. Sulla stessa scia solidale i negozi sono rimasto chiusi e la partecipazione allo sciopero è alta. La maggioranza della popolazione delle aree curde, sabato 16 settembre, non è andata a lavorare.

In previsione delle proteste, negli ultimi giorni le forze di sicurezza iraniane hanno aumentato la loro presenza in tutto l’Iran. L’area intorno alla casa di Jina Amini e le strade che portano al cimitero sono assediate dai militari pesantemente armati ed internet è stato interrotto nell’ambito degli sforzi del regime di impedire ai manifestanti la comunicazione ed il riunirsi. 
Ad un anno dalla morte di Jina Amini, quelle parole impresse sulla sua tomba, “Jina, non morirai. Il tuo nome è diventato un simbolo”, fanno ancora tremare il regime degli Ayatollah, risuonando nelle strade di tutto l’Iran e del mondo.



Azadîûşoreşê

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